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PERSONALE E ORGANIZZAZIONE
28/05/2008

La Corte Costituzionale sullo spoil system (di Arturo Bianco)

Fonte: www.comune.roma.it

Un ulteriore deciso limite alla utilizzazione del cd spoil system, cioè alla possibilità per gli organi politici di nominare i vertici degli apparati burocratici, è stato posto dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 161 del 20 maggio 2008. Tale sentenza ha bocciato, per contrasto con le norme della Costituzione, in particolare con gli articoli 97 e 98 (che dettano i principi di carattere generale per il funzionamento della Pubblica Amministrazione) l'art. 2, comma 161, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nella parte in cui dispone che gli incarichi conferiti al personale non appartenente ai ruoli delle singole amministrazioni, conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto. Siamo dinanzi alla ennesima presa di posizione della Consulta, che ancora una volta vuole limitare fortemente il ricorso alla possibilità offerta ad ogni nuovo vertice politico di nominare i dirigenti, quanto meno quelli di maggiore rilievo. Basta ricordare quanto la stessa Corte Costituzionale ha già statuito nelle sentenze n. 103 e 104 del 2007. Nella prima ha bocciato una norma analoga a quella oggi cassata contenuta nella legge n. 145/2002, cd legge Frattini, anch’essa di modifica del DLgs n. 165/2001. La sentenza in esame riprende largamente i principi dettati dalla citata pronuncia del 2007. Nella seconda ha bocciato leggi regionali della Sicilia e del Lazio sulla nomina, utilizzando meccanismi e criteri di tipo fiduciario, dei vertici delle ASL.

LA SENTENZA

La norma censurata prevede da un lato la cessazione anticipata dall'incarico di dirigenti esterni dipendenti da "altre" amministrazioni e dall'altro attribuisce all'organo politico il potere di conferma nel predefinito spazio temporale di sessanta giorni delle funzioni dirigenziali di livello generale in corso di espletamento. Siamo dinanzi ad una disposizione che ha, per molti versi, caratteristiche analoghe a quella che prevede la possibilità di conferire incarichi dirigenziali a dipendenti della stessa amministrazione. La differenza riguarda infatti unicamente gli effetti sulla differenza tra rapporto di servizio e rapporto di lavoro, ma non ha rilievo sulla “distinzione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti”. Dal che la Consulta rileva che anche in questo caso si produce un effetto di possibile interruzione anticipata del rapporto di lavoro e che si determina la impossibilità per il dirigente di sviluppare la propria attività in modo autonomo per tutto il periodo di conferimento dell’incarico. In altri termini, ci dice ancora la sentenza, “la natura esterna dell'incarico non costituisce un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie”. La previsione legislativa per la quale viene attribuita la possibilità di conferma da parte del vertice politico non è neppure idonea a fare superare il giudizio di illegittimità costituzionale: infatti “il potere ministeriale di conferma non attribuisce al rapporto dirigenziale in corso alcuna garanzia di autonomia funzionale, atteso che dalla mancata conferma la legge fa derivare la decadenza automatica senza alcuna possibilità di controllo giurisdizionale”. Viene infine respinta anche la tesi per la quale siamo dinanzi ad una disposizione dettata per il contenimento della spesa pubblica, mancando elementi significativi che vanno in questa direzione, a parte il fatto che la norma è di accompagnamento alla legge finanziaria. La disposizione infine deve essere censurata perché viola il principio del giusto procedimento, principio posto dalla legge n. 241/1990 e rafforzato dalla riforma contenuta nella legge n. 15/2005. Infatti non si mette in condizione il dirigente di potere fare valere le proprie ragioni.

I PRECEDENTI

La sentenza richiama largamente quanto affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella pronuncia n. 103/2007. Essa ha bocciato la norma che impone la cessazione dagli incarichi dirigenziali di livello generale decorsi 60 giorni dalla entrata in vigore della legge. Siamo cioè dinanzi ad una fattispecie per molti versi analoga.

Essa riassume, innanzitutto, l’evoluzione della legislazione sulla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, mettendo in particolare rilievo che il ruolo dei dirigenti è stato significativamente ampliato e ne è stata, nel contempo, esaltata la responsabilità. Ricorda che la Corte Costituzionale ha già avuto modo di chiarire che ciò non ha determinato la introduzione del principio del cd spoil system, ma che sono comunque necessarie “garanzie procedimentali”: il nuovo regime “pur se caratterizzato dalla temporaneità dell'incarico, deve essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongano che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione. Ciò al fine di consentire che il dirigente generale possa espletare la propria attività – nel corso e nei limiti della durata predeterminata dell'incarico – in conformità ai principi di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa”.

La pronuncia ci ricorda innanzitutto che nello Stato vi sono 3 livelli dirigenziali: quelli apicali, quelli generali e quelli ordinari. Per i primi, cioè gli incarichi del tipo di quelli di segretario generale, la norma impone che essi scadano decorsi 90 giorni dalla formazione di un nuovo Governo. Tale previsione non è stata giudicata legittima dalla sentenza. Al pari della previsione per la quale per gli incarichi dirigenziali viene prevista la verifica entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sulla base del principio della rotazione, e che decorso tale termine essi si debbano ritenere automaticamente confermati.

La norma censurata è quella che ha imposto la sostituzione dei dirigenti generali dello Stato, facendo automaticamente cessare il loro incarico subito dopo l’entrata in vigore della legge di riforma. La censura è stata formulata per il contrasto con gli articoli 97 e 98 della Costituzione, cioè con i principi che prevedono la imparzialità, il buon andamento e, in particolare, la continuità della attività amministrativa. E’ essenziale che vi sia, ci dice la Consulta, una sorta di momento “dialettico” tra l’amministrazione ed il dirigente, cioè un confronto in cui ognuna delle parti possa indicare e fare valere le proprie ragioni, non dimenticando che il dirigente ed il dipendente pubblico devono ispirarsi nella propria attività al principio per cui essi sono esclusivamente al servizio della Nazione, mentre l’azione di governo può essere ispirata da ragioni di parte, cioè della maggioranza. Solo in tal modo si possono garantire “scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire la prosecuzione dell'attività gestoria in ossequio al precetto costituzionale della imparzialità dell'azione amministrativa”. Né può essere invocata, come esimente, la natura transitoria e la durata limitata di questa disposizione. Non può infine essere accettata la giustificazione che questa disposizione è stata adottata solo per consentire l’avvio della nuova legislazione, visto che tale norma non prevede la stessa disciplina per gli altri livelli dirigenziali: siamo dinanzi, in altri termini, ad una misura di legge sostanzialmente “provvedimentale” e, quindi, da sottoporre ad una verifica assai rigorosa nella analisi della legittimità costituzionale. Ed in questa stessa direzione va la indicazione per cui è necessario indicare un congruo periodo minimo di durata degli incarichi dirigenziali. Anche se questo punto non è stata oggetto del contendere, la Corte Costituzionale ha espressamente indicato la necessità di rispettare tale principio al fine di dare attuazione al principio costituzionale della continuità della attività amministrativa.

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